L’emergenza coronavirus vista con il cuore

Questo periodo di assenza dalla vita sociale, questo ridondante rumore che produce il silenzio inaspettato, questa attenzione alla propria salute e a quella dell’intera comunità, ha fatto emergere la parte umana di ciascuno di noi. A qualcuno la paura ha rubato la serenità, ad altri l’ansia ha tolto il sonno, ma altri hanno sostituito le emozioni più oscure con la solidarietà. Molte persone hanno profuso sicurezza agli anziani e alle famiglie che sono rimaste sole, con bambini piccoli da accudire, dentro a mura domestiche, sempre più strette. Non è un periodo facile per nessuno, siamo un popolo sociale che ama stare in compagnia, che parla, che canta e che gioisce, ma che raramente si vede piangere. Forse per educazione, forse per abitudine, ma la sofferenza la teniamo sempre custodita nella solitudine, non ci hanno insegnato a riconoscere le emozioni e a liberarle per quello che sono e per noi adulti è uno sforzo poterle trasformare al fine di sostenere i più piccoli in questo momento difficile.

Molte persone si sono letteralmente donate per aderire a progetti di solidarietà, a seconda delle proprie abilità o competenze e molte le aziende che hanno contribuito a donare ciò che poteva essere utile per una preparazione adeguata di materiale da consegnare nelle abitazioni. L’amore che si è profuso nelle case, con un gesto e una parola seppure a distanza, tra i vicini, i parenti lontani, e anche tra gli amici, attraverso improvvisate e divertenti videochiamate, è palpabile e rimarrà nei cuori delle persone che, tra qualche tempo, tornerà nuovamente ad abbracciarsi. Dovremo essere grati a questo periodo perché, le prossime carezze, i prossimi abbracci e i prossimi baci che torneremo a scambiarci, saranno più apprezzati e ricchi di un calore dimenticato dall’abitudine.

La distanza innaturale con le persone più care, il distacco dal proprio lavoro e la consapevolezza  della fragilità umana, ha fatto riflettere sui valori della propria vita. Nulla procede più come si vorrebbe, ci si ferma a pensare alle cose più importanti, le stesse che oggi, all’improvviso mancano, non siamo abituati a guardarci dentro e ad ascoltare il silenzio. Di tutto questo brutto periodo, al quale ci dobbiamo passare attraverso con sacrificio e per alcuni con grandissimo dolore, un giorno, alla fine, porteremo un ricordo positivo perché avrà dato spazio alla nostra anima. Non si tratta di un dolore famigliare da far contenere all’interno degli affetti personali, si tratterà di un risveglio globale dove si condivideranno le stesse difficoltà e le stesse riprese.

La solidarietà, l’amore verso il prossimo e la fiducia che ognuno avrà diffuso alle persone care, ma anche a sconosciuti nel momento di maggiore criticità, lo ricorderemo per sempre. Questo è per me il periodo del coronavirus con il mio cuore, dove ho spiegato ai bambini più piccoli che portare la corona non è sempre una fortuna, e questa volta molti hanno perso la vita senza scettro. Le fiabe avranno nuovi eroi che indosseranno la divisa oltre che ad una mascherina e ad un paio di guanti. La maggior parte delle persone si ricorderà ciò che è stato impiegato per contenere e sconfiggere questo “nobile” virus con amore verso l’intera comunità. Molti hanno contribuito a rendere ogni piccolo gesto, un gesto importante per qualcun altro. Vi racconto la storia di una sarta, che venuta a conoscenza, della difficoltà di reperire mascherine usa e getta, apre il suo armadio, in una notte insonne, e pensa che le mascherine le può cucire lei. Non è una sarta qualsiasi è una donna con famiglia che pensa di essere utile per la comunità e così non ci pensa due volte e trascorre notte e giorno a cucire, reperire elastici e a svuotare armadi di famiglia ricolmi di stoffa che nel tempo si erano accumulate forse, proprio, nell’attesa di utilizzarle per un’emergenza. Si, perché una parte di quelle stoffe erano state acquistate nel 1991, da sua nonna, nel periodo del fallimento del Ricamificio, noto ai più anziani come fabbrica simbolo dello sviluppo industriale lupatotino. La generosità si mescola alla sua abilità sartoriale che con il sorriso la tiene sveglia di notte proprio per consegnare alla mattina il numero più alto di mascherine per le persone che ne hanno più bisogno. Così le dona anche a medici ed infermieri del pronto soccorso di Pieve di Coriano in difficoltà a reperire le mascherine usa e getta per loro fondamentali. E così il suo cuore si gonfia di gioia per essere stata utile, per aver contribuito ad aiutare persone, vicine e lontane, nel bene della Comunità. E storie come questa di Michela, ne abbiamo molte, perché crediamo negli esseri umani che si mettono in prima linea come i medici, gli infermieri, la Polizia Municipale, le Forze dell’Ordine, il Gruppo di Protezione Civile, l’Associazione Cittadino Sicuro, il Sindaco con molti Assessori sempre presenti e moltissimi volontari, perché abbiamo fiducia che tutto andrà bene.    Debora Lerin